Numerosi ospiti si sono alternati nel convegno organizzato dall’Ospedale Evangelico Internazionale di Genova sui temi legati alla tutela e assistenza delle vittime di abuso.
L’incontro si inseriva nella formazione continua offerta dall’ospedale sui temi della violenza, maltrattamento e abuso che l’Ospedale porta avanti da anni.
Alessio Parodi, direttore generale dell’Oeige, ha aperto l’incontro sottolineando «le dimensioni di insopportabilità» che da qualche anno la piaga della violenza di genere sta assumendo, ma ricordando anche il grande supporto che arriva dalle chiese valdesi e metodiste attraverso l’8xmille «Siamo grati alla Tavola Valdese che da anni sostiene il progetto “Finestra Rosa”, permettendo il suo sviluppo e la sua crescita».
In un momento storico in cui le disuguaglianze si stanno acuendo sempre più e i fragili vengono lasciati ai margini, il diritto alla salute non è sempre così scontato.
La presidente dell’Oeige, Barbara Oliveri Caviglia, ha ricordato come il forte impegno dell’Ospedale nell’offrire un’assistenza sanitaria diversa, risieda anche nel concetto stesso di esistenza della struttura: «Il vero motivo è nel nome: Ospedale Evangelico, un’espressione delle chiese e del modo di concepire e offrire assistenza sanitaria. Da anni l’Ospedale Evangelico di Genova è inoltre premiato dall’Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, con i “bollini rosa”: un riconoscimento dato alle strutture sanitarie vicine alle esigenze delle donne».
Fondamentale anche la collaborazione con i consolati, come ha ricordato Denise Ashing Dardani, vice presidente dell’Oeige. «Da anni abbiamo stabilito intese e collaborazioni con alcuni consolati, tra cui Ecuador, Albania, Romania, Repubblica Dominicana, per aiutare e accogliere le persone straniere presenti nella città di Genova, soprattutto le donne».
Era presente al convegno anche la diacona Alessandra Trotta, attuale moderatora della Tavola Valdese, che ha ricordato come l’auspicio sia quello di «contribuire a creare un’umanità più serena, felice, solidale». Una comunità più giusta, che però ha bisogno delle energie di tutti e tutte per difendere i diritti, tutelare la libertà e l’uguaglianza.
Questo è un impegno prioritario anche delle chiese: rispetto a queste tematiche c’è sempre stata una grande sensibilità da parte delle Federazioni di donne, ma sono temi che devono richiamare costantemente il pubblico alla responsabilità individuale. Ci si deve attrezzare sempre di più a cogliere i segnali del disagio nella nostra società, per poter accogliere, sostenere e aiutare chi chiede aiuto per uscire da una situazione di difficoltà. Consapevoli di questo percorso, la speranza è che le nostre chiese possano diventare luoghi dove sviluppare relazioni di fiducia tali che consentano alle persone di aprirsi, o almeno luoghi a cui ci si possa indirizzare per eventuali richieste di aiuto».
Il convegno ha proposto il racconto dei percorsi della Rete regionale e nazionale a sostegno delle donne vittime di violenze, attraverso le testimonianze di molte associazioni, centri antiviolenza e istituzioni.
La dottoressa Anna Maria Zucca, presidente del Centro Antiviolenza E.M.M.A di Torino, ha ricordato anche il recente progetto «SOS: Sostegno agli orfani speciali», dedicato a bambini e bambine rimasti orfani proprio a causa dell’omicidio della loro madre. Un progetto che riguarda le regioni Liguria, Piemonte e Valle D’Aosta.
Il tema degli stereotipi è emerso in più di un intervento: la necessità di scardinare alcuni stereotipi culturali che ancora permeano il nostro modo di affrontare le diverse questioni in diversi livelli e settori è il fulcro del cambiamento, come ha ricordato il dottor Francesco Cozzi, garante di Ateneo dell’Università di Genova, che ha anche aggiunto «Ci possono essere varie motivazioni per cui ci occupiamo di questo tema, ma tutte convergono verso determinati e unici risultati, rivolti al superamento di una situazione che non riteniamo più tollerabile» e che riguarda infanticidi, femminicidi e violenza in generale.
Sono stati ricordati gli obiettivi della convenzione di Istanbul del 2011: un trattato internazionale contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. La convenzione ha indicato a tutti gli stati aderenti, tra cui l’Italia, obiettivi da cercare di conseguire: educazione, prevenzione, protezione e repressione nell’ambito della tutela delle donne e dei più fragili.
Centri antiviolenza e recupero maltrattanti, inseriti nella rete, svolgono una funzione importantissima, rimettendo al centro un rapporto di fiducia. «Le donne che accedono al centro intraprendono un percorso di relazione e fiducia con le operatrici – ha ricordato Manuela Caccioni, responsabile del Centro Antiviolenza Mascherona – Le donne che ci raggiungono sanno che troveranno del personale che accompagnerà il loro percorso, mettendo al centro le loro esigenze, senza mai prendere decisioni al loro posto. Il lavoro tiene in considerazioni anche la questione fondamentale dell’ambito culturale: con l’aiuto di mediatori culturali si cerca di comprendere al meglio il vissuto culturale della persona che viene da noi».
Ma un centro antiviolenza da solo fa poco, com’è stato ricordato più volte. Si raggiungono gli obiettivi solo lavorando in rete con altri enti.
E in questo ambito è fondamentale il concetto di “prevenzione” e il lavoro sull’educazione affettiva che viene fatto, ad esempio, con iniziative nelle scuole, importante per la società del prossimo futuro. In questi ultimi anni è stato notato infatti come una percentuale sempre più alta di ragazze giovani (dai 16 anni circa), si presenti ai centri antiviolenza: questo dato va letto anche dal punto di vista che non hanno timore a svincolarsi da situazioni che non intendono tollerare nella loro vita.
Particolarmente toccante è stata la testimonianza del padre di Martina Rossi, la giovane donna morta nel 2011 precipitando da un balcone dell’albergo dove era in vacanza per sfuggire ad un tentativo di stupro. «Il papà e la mamma di Martina, con grande coraggio e forza, hanno provato a sopravvivere ad un dolore devastante impegnandosi per il prossimo, dalle donne vittime di violenza alle persone più fragili, fondando l’associazione Martina Rossi. Loro sono per tutti noi un esempio di impegno civile e sociale» ha ricordato Barbara Oliveri Caviglia.